Napolincroce

Napolincroce nella Chiesa di Donnaregina Vecchia.

Partendo dalla riflessione più che mai attuale sulla contraddizione bellezza/morte che da sempre (dall’eruzione del Vesuvio alla crisi dei rifiuti) la città di Napoli vive, Antonio Biasiucci, Doriana e Massimiliano Fuksas, Mimmo Paladino e Toni Servillo propongono nella Chiesa di Donnaregina Vecchia alcune installazioni realizzate ad hoc.

Il Museo Madre ospita la mostra d’arte Napolincroce, nella Chiesa Donnaregina vecchia.

Napoli, come luogo dell’immaginario collettivo, è presentata attraverso la rivisitazione di uno dei segni più cari alla storia dell’arte, più rappresentativi della tradizione religiosa e più radicati nel sentimento popolare della città: la croce. Simbolo di unione tra terra e cielo, morte e resurrezione, sofferenza e gioia, la croce riflette l’idea di Napoli, città che crocifigge se stessa, che vede nel proprio corpo morente l’estremo rifulgere della bellezza. Mimmo Paladino propone una via crucis composta da elementi eterogenei, figurativi e materici, che partendo dal pavimento si arrampicano sulla navata fino a condurre all’abside della chiesa.

Qui si erge, come una gigantesca icona oldenburghiana, l’installazione di Massimiliano e Doriana Fuksas, composta da tronchi di castagno tenuti insieme da chiodi e puntelli. Sul lato, nella piccola cappella Loffredo, 28 fotografie di ex voto stampate su lastra di metallo da Antonio Biasiucci, invitano il visitatore a scavare nelle infinite sfumature del bianco e nero alla ricerca di nuove visioni e di nuove prospettive.

 

Dalla mostra “NAPOLINCROCE, la voce di Toni Servillo è il segno teatrale che si aggiunge alle immagini artistiche per raccontare una città antica, la cui morte eterna è lo specchio di una vitalità e una modernità assolute. A cura di Eduardo Cicelyn

Leggetelo e gustatelo con calma. Renderà intellegibile l’esperienza sensoriale dell’esposizione napoletana ma soprattutto aiuterà a prendere coscienza della vera natura della nostra città.

… I terremoti, le eruzioni del Vesuvio, le pestilenze, la crisi dei rifiuti, le sanguinose guerre di camorra: tutte le sciagure che la natura e l’uomo hanno scatenato nel corso di secoli assumono a Napoli il carattere di eventi costitutivi. Qui la verità dei fatti oltrepassa la realtà per slancio metafisico. E’ come se l’identità antropologica della città fosse costituita dal tracollo, dallo sprofondamento, dal disfacimento ineluttabili. Niente veramente finisce o comincia. Tutto ritorna. E così ciò che è ostinatamente bello resta avvinghiato a ciò che è irrimediabilmente brutto, il bene al male, il giusto all’ingiusto.

Racconteremo questa lunga storia con un numerario di lutti infiniti, ma sappiamo che nessuno potrà mai separarla dal contrappunto retorico di una bellezza mitica e anche, viceversa, minacciose e mirabolanti propagatrici di un’idea pericolosa e mortale del bello. Non di una fragilità o di una superficialità, ma di una finitudine della bellezza che attrae perché conscia della propria vitalità e dunque disposta naturalmente a morire. Come in una festa pagana dai toni lugubri anche la pazzesca crisi dei rifiuti, l’immondo che divora la ricca e splendente mondanità del paesaggio metropolitano, ripropone l’immagine più antica e più moderna di Napoli: la città che vede nella propria morte, nel proprio corpo che muore, l’estremo rifulgere della bellezza. Qui si vuol dare voce al pensiero che sembra venire dal cuore di Napoli, dal suo fondamento oscuro di città votata alla catastrofe: la città che crocefigge se stessa è la nostra immagine quella che Antonio Biasucci, Doriana e Massimiliano Fuksas, Mimmo Paladino e Tony Servillo hanno scelto di mettere in scena. Perché la croce è il segno più caro alla storia dell’arte, radicato nella tradizione e nel sentimento popolare della città, il segno che unisce terra e cielo, la morte che indica la resurrezione, la sofferenza che è gioia. La scena è la chiesa Donnaregina vecchia nel museo Madre. L’architettura dei Fuksas, come una gigantesca icona oldenburghiana, si erge faticosamente tra giunture, chiodi e puntelli che la tengono in equilibrio precario. Viene da una foresta di tronchi intorno all’altare, luogo di arrivo della via crucis incisa nel ferro e sulla carta da Mimmo paladino: figure abbandonate sul pavimento o sospese vaganti dalle volte fanno da coro alla voce di Tony Servillo che dice la città attraverso i suoi numeri. Nella cappella laterale le immagini di Antonio Biasucci raccontano gli ex-voto di Napoli, una pausa di raccoglimento per il visitatore, un invito a concentrare lo sguardo e a pensar l’arte come gesto che si offre per eccesso, creazione e narrazione di un’idea e non rispecchiamento della realtà, adesione o denuncia. NAPOLINCROCE è un modo di afferrare Napoli in tempo reale, in presa diretta sulla catastrofe, ma con gli occhi spalancati sulla vastità della storia e del mito. Non possiamo fare a meno della bellezza, non possiamo fare a meno di una lingua e di un pensiero moderni.

 

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